Abbassamento falda acquifera e erosione costiera

Il Bosco Pantano è un bosco planiziale igrofilo, questo significa che si sviluppa in pianura ed è costituito da specie vegetali che per poter sopravvivere necessitano di terreni molto umidi. L’acqua proveniente dai fiumi, insieme a quella meteorica, per effetto della gravità, attraversa il suolo ed incontra prima delle rocce permeabili e poi, più in profondità, delle altre impermeabili. Queste ultime fungono da “magazzino” e, con il passare del tempo, gli strati permeabili si saturano portando alla formazione di una falda acquifera.

Fino ai primi anni del secolo scorso il Bosco Pantano occupava una superficie di circa 1600 ha (ettari) ai quali si aggiungevano 110 ha di stagni. Dal fiume Sinni al fiume Agri l’acqua, linfa vitale del bosco, faceva da padrone. Rami minori dei corsi d’acqua si spingevano fin nelle zone più interne allagando intere aree e permettendo lo sviluppo di una foresta lussureggiante che dominava da migliaia di anni; all’interno di essa erano presenti diverse sorgenti come quella del Varratizzo .

Per l’agricoltura e l’allevamento, però, queste condizioni rappresentavano un ostacolo allo sviluppo. Nel 1913 lo scrittore Prospero Rondinelli descriveva il luogo come “funestato dalla malaria … sicchè i poveri lavoratori si struggono nelle febbri palustri e, tra una pillola e l’altra di chinino, sognano una futura bonificazione di quelle terre“.

La bonifica non tardò ad arrivare e, nel 1931, il Consorzio iniziò i lavori nell’area per permettere la messa a dimora delle colture. Le acque vennero raccolte in canali, fatti per la maggior parte in cemento, e convogliate a mare.

Negli anni ’80 l’entrata in funzione della diga di Monte Cotugno, costruita lungo il Sinni, ne diminuì notevolmente la portata.

Tutto questo ha causato una drastica diminuzione di apporto idrico al bosco.

Già verso la fine degli anni ’80 Gianni Gobbi segnalava il problema dell’inaridimento del suolo e il conseguente aumento di specie tipiche della macchia mediterranea a scapito di quelle igrofile. Con il passare degli anni la situazione non è certo migliorata. L’erosione costiera, in aumento, ha portato la linea di costa sempre più vicina al bosco. Una studio ha dimostrato come l’area della foce del fiume Sinni ha subito un arretramento di 30 metri tra il 2008 e il 2010 ed uno complessivo di 500 metri dal 1908 ad oggi.

L’acqua dolce nel suolo sta scomparendo, quella salata avanza e la costa regredisce. I segni della sofferenza del bosco lasciano poco spazio alle interpretazioni. Di tamerici, un tempo vivi e vegeti dietro la duna, ora rimangono solo i tronchi secchi colpiti dalle onde del mare; dove un tempo fiorivano rigogliose le iris di palude ora decine di frassini muoiono e cadono come birilli. A pochi metri da loro, nei canali cementificati, scorre l’acqua dolce che sfocia in mare.

Eppure la Riserva è definita Orientata perchè l’obiettivo principale della sua istituzione (avvenuta nel 1999) è appunto “indirizzare scientificamente l’evoluzione dell’ambiente naturale verso la ricostituzione del bosco umido planiziare ivi preesistente … e, fra gli obiettivi specifici, all’interno delle Misure di Tutela e di Conservazione adottate dalla Regione Basilicata nel 2012, rientra la redazione di un piano d’azione che preveda il ripristino ed il miglioramento delle condizioni idrologiche che consentano la conservazione degli habitat e delle specie“.

Da anni si prospettano finanziamenti e progetti che dovrebbero migliorare o almeno cercare di tamponare la situazione ma ad oggi, dopo più di 30 anni dalle prime segnalazioni, nulla è stato fatto. Il Bosco sta morendo mentre l’acqua scorre al suo interno ben sigillata e resa inaccessibile alla vegetazione dagli argini di cemento.

Se si vuole REALMENTE cercare di salvare un ecosistema unico e raro bisogna intervenire al più presto!

I pochi frassini morenti (sulla sinistra) a qualche metro dall’acqua del canale in cemento